Nella città di ”Mancaqualcosa”

In un Paese molto lontano c’è una piccola cittadina, la città di “Mancaqualcosa”.
Si chiama così perché a tutti i suoi abitanti manca qualcosa: per esempio, a qualcuno manca la vista, a qualcuno manca l’udito, a qualcuno manca una mano e a qualcun altro ancora manca addirittura una gamba!

Quel che però non manca in quella cittadina è l’allegria, la tenacia e il rispetto. Tutti i cittadini hanno un cuore grande e sono abituati ad aiutarsi a vicenda. Gino, per esempio, è nato cieco. Eppure c’è Mario, a cui la vita ha tolto una mano, che lo segue notte e giorno per aiutarlo a sbrigare le sue faccende quotidiane. Eppure Gino è molto intelligente e ha imparato l’alfabeto Braille. Sa scrivere e sbriga le pratiche burocratiche di tutto il paesino! Maria invece è nata senza una gamba. Adora la musica e la sua amica Serena, sorda a metà, le fa ascoltare la musica di Mozart e si esibisce in eleganti balletti solo per lei.

E poi ci sono i bimbi che vanno a scuola: Luca è dislessico, Miriam ha difficoltà a concentrarsi, a tutti i bimbi “manca qualcosa”. Ma tutti insieme uniscono le loro forze e le loro peculiarità e uniti formano una squadra formidabile. L’anno scorso hanno anche vinto le mini olimpiadi provinciali!!

Il paese di “Mancaqualcosa” fino a qualche anno fa era ignorato da chiunque: le persone a cui – così pareva – la vita aveva dato tutto, si infastidivano a sentir parlare di quegli strani abitanti. Finché, in una bella domenica di sole, una famiglia non si perse con l’auto e finì proprio nella piazza principale di “Mancaqualcosa”. Che fantastico spettacolo videro i loro occhi! Gente felice, intenta a condividere risate e racconti della settimana appena conclusa. Bimbi che giocavano e animali che scorazzavano.

E così andarono a chiedere all’unico albergatore del paese – Rino, a cui mancava la parola – di poter alloggiare un paio di notti in albergo. Fu l’esperienza più ricca e bella della loro vita e, da quella volta, ogni estate la tappa fissa è nel paese di “Mancaqualcosa”. Da allora raccontano ad amici e parenti di quel magico posto, dove in realtà gli abitanti hanno tutto ciò che realmente serve: la gioia e la serenità. A loro invece mancava la vera consapevolezza della felicità, che ora certamente non manca più.

Eleonora – 6 anni, Emma – 2 anni e la Mamma (Torino)

REBUTIA E SURFINIA

Una piccola Rebutia ed una pianta di Surfinia condividevano il davanzale di una finestrella di una graziosa casa di campagna. Sistemate dentro vasi di coccio, si trovavano vicine, quasi si toccavano ed ogni giorno una bambina si prendeva cura di loro con grande amore.

Surfinia era rigogliosa e aveva tanti fiori di color rosso porpora dai petali vellutati. Si vantava della sua bellezza e non capiva come mai quella misera pianticella globosa l’avesse come vicina e ricevesse le medesime attenzioni. Era così diversa! _ Sei piena di spine, nessuno ti può toccare perché pungi e fai male e non hai neanche un fiore!- diceva.

Rebutia non ribatteva. Se ne stava ammutolita. Che ci poteva fare! Era fatta così! Nessun insetto osava avvicinarsi a lei e fare amicizia era davvero difficile. Forse, fra un po’, anche la bambina si sarebbe stufata e non l’avrebbe più curata. Intanto il tempo passava, faceva molto caldo, Rebutia dimostrava di amare il sole e di saper resistere ai suoi raggi cocenti. Poi un giorno si accorse che fra le sue spine erano spuntate alcune piccole protuberanze pelose.

Lei se ne vergognava molto, non poteva nasconderle. Surfinia la trovava ancora più ridicola. Ad ogni spuntare del sole quegli strani bozzoli diventavano sempre più voluminosi, finché una mattina Rebutia sentì che stavano per esplodere, che non c’era più modo di trattenerli.

D’improvviso avvenne la cosa più inaspettata e straordinaria: quei bottoni si aprirono e dei maestosi fiori arancio, dalle delicate sfumature gialle, si drizzarono imperiosi sopra di lei. Erano grandi, grandi! Rebutia era gioiosa e soddisfatta. Non era solo un’insignificante “ palla” di spine! Bastava solo aspettare il momento giusto…

In quanto a Surfinia, capì che esistono piante speciali… e i Cactus sono proprio così!

Lavinia – 18 anni (Lucca)

Said e la principessa

C’era una volta Giada, una principessa che abitava in un castello con suo padre Cornelius.
Un giorno la principessa andò al mercato a comprare la verdura e ad una bancarella incontrò un ragazzo bello ma povero.

Giada, quando vide il ragazzo, si innamorò subito.

Il ragazzo si chiamava Said e anche lui si innamorò della principessa.

Giada tornò al castello e il ragazzo la seguì per vedere dove abitava.

Il giorno dopo Said si intrufolò nel castello e iniziò a cercare la stanza della principessa.

Nel corridoio incontrò delle guardie e le neutralizzò facendo cadere il lampadario e le guardie si trasformarono in fantasmi.

Il Re sentì dei rumori, andò a vedere cosa fosse successo

I fantasmi, il Re e Said cominciarono a combattere: i fantasmi volevano uccidere il Re e Said per impossessarsi del castello. Said, però riuscì a sconfiggerli tramite una spada magica che aveva ricevuto in dono da suo nonno.

Allora il Re decise che Said avrebbe potuto sposare sua figlia.

Vittoria – 11 anni (Pistoia)

L’Associazione Nazionale Sindrome di Noonan e RASopatie ODV alla cerimonia di apertura della LEM: “LaEnegoMarcesina Special Edition 2019”

Maria Gloria, Amore alla Vita

Sono Nico Di Tella, il papà di Maria Gloria.

Si può scrivere di una storia un lungo libro per descriverla, oppure si può stringere in poche righe.Ognuno leggerà poi di questa storia le sole parole che già risuonano dentro la propria anima, e solo quelle rimarranno, ma non già più come “parole”, ma come sensazioni, immagini, odori, suoni … fotogrammi ora della propria vita.

Ed è ora così, a fotogrammi, che rivedo la nostra vita insieme a Maria Gloria, in questo momento che riesco a fermare il vortice della giornata, per raccontare brevemente come mi è stato richiesto, qualcosa di lei e di noi genitori e famiglia, per dare qualche segno di speranza a chi ci sta’ entrando ora in questa nuvola incomprensibile che ti disorienta e che sconvolge le piccole e grandi certezze che avevi della vita.

Con Catia, nei primi mesi del 1998, avevamo già tre figli, Simone, Maria Serena e il piccolo Davide.La notizia dell’arrivo del quarto figlio ci riempì di gioia, conoscendo la vivacità e il bel rapporto che già gli altri tre avevano.Decidemmo con Catia di andare tutti insieme una sera a cena al ristorante Cinese, per dare a loro la notizia e festeggiare.

Furono subito felicissimi della notizia, sorpresi e incuriositi, e già fantasticando su come organizzare l’arrivo del nuovo bambolotto, maschio o femmina che fosse stato.Noi pensavamo che sarebbe stata una femminuccia, ma era ancora presto per avere la conferma.

Solo Davide, il più piccolo, era un po’ più pensieroso, aveva cinque anni e forse già intuiva una concorrenza sulle attenzioni che si sarebbero spostate da lui, alla nuova arrivata.Ad un certo punto borbottò: ma a che ora arriva sta’ sorellina??? Lo tranquillizzammo che ci voleva ancora del tempo.

Nei mesi successivi ci confermarono che era una bambina, ma rispetto alle altre gravidanze Catia si accorgeva che qualcosa non andava bene, finché dopo alcuni controlli ci dissero che eravamo in presenza di un polidramnios, un eccesso di liquido amniotico, e che bisognava tenere la situazione sotto controllo.In una visita dal Ginecologo notammo un certo nervosismo da parte del medico, fino ad ora ci aveva seguito professionalmente per ognuno dei nostri tre figli fino alla loro nascita.

Con aria preoccupata e decisa ci disse di pensare seriamente ad un aborto terapeutico, la bambina secondo quanto poteva capire lui e con gli elementi che aveva, sarebbe nata con seri problemi.Un gelido colpo al cuore ci colpì e in risposta ai nostri sguardi smarriti e ad un no deciso di tutti e due, ci disse che lui non poteva più aiutarci e se volevamo continuare la gravidanza dovevamo cercare un altro medico.

Lasciandolo lo ringraziammo per la sua sincerità e per quanto aveva fatto per noi fino ad ora.

Nelle tormentate ore successive e nei giorni che vennero eravamo attenti l’uno all’altra, a non dire parole sbagliate, a non farci cogliere nello sconforto, ma poi finivamo spesso in lunghi dolorosi abbracci …

Non avevamo dubbi che avremmo affrontato tutto con l’aiuto di Dio, con il contributo degli altri tre figli e con il coinvolgimento delle nostre famiglie.La affidammo spiritualmente alla Mamma del cielo chiamandola Maria Gloria e fu così che Maria Gloria arrivò, con un mese di anticipo nel caldo di Agosto del 1998, la notte stessa ci furono problemi di respirazione, terapia intensiva, poi lunghi giorni e mesi di ricoveri in vari ospedali.

Dopo pochi mesi con problemi di alimentazione dovemmo intraprendere la nutrizione enterale con sondino naso gastrico, ricoverati al Bambin Gesù.Un genitore con la bambina, l’altro nei corridoi o nel parcheggio del Gianicolo per darci il cambio per mangiare, riposare ecc. …

I giorni diventarono mesi, gli altri tre figli con i nonni o gli zii …

In questo momento della vita la famiglia era questo, Maria Gloria ci aveva scelti come genitori e come famiglia dovevamo tirarla fuori da questa prova, ed eravamo pronti a tutto.Qualche volta su nostra richiesta il medico ci diede il permesso di andare a casa per il sabato e la domenica, con la famiglia riunita eravamo felicissimi e riprendevamo speranza.

Chiesi al medico se potevo imparare a sostituire e gestire personalmente il sondino naso gastrico ed imparai.Imparai non solo la tecnica e la cura per non fare danni, ma soprattutto imparai a farlo guardando negli occhi Maria Gloria, sapendo di procurargli un po’ di momentaneo dolore ma poi delle piccole gocce di vita.

Intanto andava a rotoli il mio lavoro, quello di Katia, i mesi passavano.Vendemmo il nostro negozio di elettroforniture, non sapevamo se la situazione si potesse sbloccare in qualche modo, subentrarono problemi al cuore, agli occhi… Altri bambini ricoverati con noi dovevano mettere il sondino dalla pancia, qualcuno partì prima del previsto…

Girando nei reparti del Bambino Gesù, oltre che scoprire situazioni ancora più difficili della nostra, vedevo delle nuove macchine per l’enterale, molto più piccole delle prime, eravamo ormai così da un anno e mezzo.Chiesi alla dottoressa una cosa strampalata, un permesso speciale, visto che avevo imparato a gestire da solo la macchina, il cambio del sondino ecc., le chiesi se invece di qualche fine settimana ogni tanto poteva autorizzarci a portare a casa per più tempo tutta la macchinetta con l’occorrente per più giorni, la vicinanza dei fratelli e dell’ambiente famigliare faceva molto bene a Maria Gloria che diventava più allegra e reattiva e anche a tutti noi eravamo molto più sereni e sollevati.

La dottoressa ci autorizzò per qualche prova e vedendo i buoni risultati, soprattutto medici, ci fece fornire di una macchina più piccola e di tutto l’occorrente, finché, dopo diversi mesi ancora inventai un piccolo zainetto con batterie e medicinali e finalmente, con Maria Gloria che aveva ormai più due anni, facevamo persino delle uscite di famiglia per passeggiare in spiaggia, sul lungomare o andare tutti insieme al Cinese che piaceva tanto ai ragazzi o in pizzeria.Ad ogni pasto tutti insieme, in casa o fuori, sia noi genitori che i fratelli, per gioco o per speranza, spezzettavamo piccole quantità di cibo e imboccavamo Maria Gloria, che divertita e impiastrandosi tutta giocava a “mangiare”, sperimentava sapori e odori, scopriva cosa provavamo noi nel mangiare insieme.

Al suo terzo anno di età, in uno dei rientri in ospedale, Maria Gloria riconsegnò il suo zainetto alla dottoressa sbalordita e gli spiegammo che per noi non serviva più, avevamo iniziato a farla mangiare in modo autonomo, prima continuando a tenere anche il tubicino di sostentamento naso gastrico, poi diradando sempre più le ore senza, facendola mangiare e bere spesso e facendo attenzione al peso e alla sua reattività.

Dopo lo stupore della dottoressa e ancora vari giorni di controlli, analisi e prove senza più il sondino, poi finalmente ci dimise dal reparto di gastroenterologia.Tra i vari ambulatori, visite e controlli, la prima dottoressa che ci disse finalmente qualcosa di questa “malattia”, fu la dottoressa Digilio: secondo lei poteva trattarsi della “Sindrome di Noonan”, una rara malattia genetica di cui si sapeva poco o niente.

Per noi e per qualsiasi altro medico non ci diceva nulla questo nome, ma almeno iniziammo a informarci e sempre di più scoprimmo che 18 anni fa la dottoressa aveva ragione e ancora oggi è con lei che facciamo i controlli genetici annuali.

Diventerebbe molto lungo raccontarvi tanti particolari della nostra esperienza con Maria Gloria, ma è per noi evidente quanto è lei che ci ha aiutato a crescere, noi genitori, i fratelli e la sorella che hanno dovuto dare una grande accelerata alla loro infanzia per lei, ai nonni, ai parenti ed amici, Maria Gloria con la sua forza d’animo, pazienza, voglia di Vivere, ci fa vedere la vita con occhi nuovi…

Ha poi affrontato l’intervento al cuore e a tutti e due gli occhi, ai continui controlli, tutte occasioni per dire alla vita che non và mai sottovalutata e lei ce lo ricorda in ogni piccola conquista.Frequenta gli Scout da diversi anni e anche qui fa cose che noi non pensavamo potesse fare, le sue compagne e compagni di squadriglia ci dicono quanto è tenace nelle ore di cammino con zaino in spalla, vanno in canoa, ha fatto scuola di roccia, ha mille attenzioni per gli altri.

Da pochi giorni ha terminato gli studi all’Istituto Alberghiero di Anzio, diplomandosi con una bella valutazione.Noi non ci aspettiamo mai nulla da lei, ma è lei, Maria Gloria che ci stupisce continuamente con il suo “Amore alla Vita”.

Con lei vicino facciamo a tutti i “Guerrrieri” Noonan e alle loro famiglie tantissimi sinceri AUGURI per affrontare con Amore tutto quello che la Vita ci chiede, sapendo che se vogliamo non siamo mai soli, anche quando a noi non sembra.

Un grande abbraccio Nico, Katia, Maria Gloria!